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- Data di creazione 14/03/2025
- Ultimo aggiornamento 14/03/2025
DA COLONIE A STATI UNITI D'AMERICA
La colonizzazione inglese nel Nord America si era sviluppata in larga misura al di fuori e al margine dell'intervento statale. Solo alcune colonie erano nate da iniziative regie; altre erano sorte con la lottizzazione di terre concesse dal re a grandi aristocratici e uomini politici che voleva ricompensare; altre colonie ancora erano state fondate da altri (gli olandesi a Nuova Amsterdam, poi New York; gli svedesi nel New Jersey) e inglobate nel tempo dalla corona britannica; un nucleo infine, quello vicino alla frontiera col Canada francese, era nato dall'emigrazione di dissidenti religiosi che intendevano sottrarsi all'autorità della Chiesa anglicana. Le tredici colonie costituitesi sulla costa atlantica del Nord America presentavano pluralismo religioso, pluralismo etnico (inglesi, scozzesi, gallesi, irlandesi protestanti, irlandesi cattolici, olandesi, svedesi, tedeschi, austriaci, boemi e moravi, svizzeri, francesi protestanti, qualche raro italiano e spagnolo, greco e portoghese, e gli africani, tra i quali un piccolo numero liberi) e pluralismo linguistico (in alcune colonie come la Pennsylvania la minoranza germanofona era consistente). Sia tra i dissidenti religiosi sia tra gli immigrati era abbastanza tenue la lealtà verso la Corona britannica: le colonie erano delle specie di repubbliche nelle quali i governatori mandati dal re contavano piuttosto poco e dove invece c'erano assemblee elettive spesso e volentieri riottose.
I legami non saldissimi con la metropoli e la politica fiscale del governo di Londra dissolsero in un tempo brevissimo, nemmeno dieci anni, il legame coloniale: si era rafforzata la giustificata aspirazione ad avere una propria rappresentanza nel Parlamento di Londra, proprio come spettava di diritto ai loro lontani concittadini. Il governo britannico, invece, per risanare le finanze statali inasprì la politica fiscale nei confronti delle colonie aumentando alcune tasse e promulgando delle nuove leggi che accentravano il potere nelle mani delle autorità politiche e militari britanniche. Inoltre ai coloni veniva vietato di commerciare con altri paesi e proibito di produrre o esportare manufatti poiché avrebbero potuto entrare in concorrenza con quelli britannici.
I coloni cominciarono a protestare: "no taxation without representation". Perché i sudditi inglesi d'America non dovevano avere gli stessi diritti di quelli della madrepatria? La Corona inoltre, per prevenire la guerra con i nativi alla frontiera, stabilì che l'espansione dei coloni verso ovest venisse limitata da una linea di confine oltre la quale il territorio era riservato ai nativi ("Proclamation Line"). Infine una sentenza della più alta Corte d'Inghilterra mise in dubbio la legalità della schiavitù sul territorio britannico e ciò allarmò i proprietari di schiavi nelle colonie.
Lo scontento si espresse con tre grandi protagonisti: il piantatore Thomas Jefferson, l'autore della Dichiarazione di Indipendenza (4 luglio 1776), con James Madison uno dei primi pensatori politici americani e con George Washington il capo dell'esercito indipendentista. Dopo due anni di disordine e agitazione, nel 1775 ci furono i primi scontri armati e nel 1776 la proclamazione del distacco dall'Inghilterra, che reagì militarmente: era iniziata la Rivoluzione americana, la Prima guerra di indipendenza coloniale contro la madrepatria. Sebbene gli inglesi non brillassero per perizia militare, gli indipendentisti vinsero soltanto grazie all'aiuto della Francia e alla formazione di una coalizione di altri Paesi che approfittarono dell'occasione per ridimensionare lo strapotere marittimo inglese. Denaro, armamenti e soldati francesi contribuirono in maniera decisiva alla vittoria. Nel 1783 l'Inghilterra accettò l'indipendenza dei coloni, restituì alcune colonie alla Francia e si volse a rafforzare la sua presenza in India: perso un impero a Occidente si apprestò a costituirne un altro ancor più poderoso e redditizio a Oriente.
Gli indipendentisti avevano trasformato le tredici colonie in tredici Stati. Nel 1781 una sorta di patto costituzionale provvisorio, gli Articoli di confederazione (Articles of Confederation), aveva dato un assetto confederale alla nuova realtà che si era costituita. Ogni Stato agiva e deliberava per conto proprio, con un'assemblea centrale. Buona parte delle élites, del nord, centro e sud, convennero però sulla necessità di dar vita a un'organizzazione statale più solida, passando dall'assetto confederale a uno federale, con un governo centrale autorevole e un sistema politico regolato. Così nell'estate 1787 un gruppo di importanti uomini politici si radunarono a congresso (Convention) a Filadelfia e stesero una Costituzione alla quale annessero una dichiarazione dei diritti (Bill of Rights). La Costituzione prevedeva una netta separazione dei poteri, in omaggio al pensiero liberale settecentesco: il potere esecutivo nella persona di un Presidente, a capo di un Governo di sua scelta; il potere legislativo affidato a una Camera dei rappresentanti dove ogni Stato era rappresentato in base alla popolazione e un Senato dove invece ogni Stato aveva la medesima rappresentanza (due senatori); il potere giudiziario affidato a magistrati in parte eletti dal popolo e in parte di nomina politica e a una Corte suprema incaricata di vagliare la costituzionalità delle leggi. Per sostenere questo progetto di governo federale alcuni dei politici sostenitori di questa formula divulgarono le loro idee in una serie di articoli diffusi attraverso la stampa e raccolti sotto il titolo di Il Federalista (The Federalist). Nelle consultazioni elettorali, per ratificare la Costituzione i federalisti raccolsero i voti delle zone costiere, delle città, delle élite. Gli antifederalisti rappresentavano piuttosto le aree rurali dell'interno e i contadini più poveri. Vinsero i federalisti.
Nel 1789 venne eletto primo Presidente del nuovo Stato George Washington, un piantatore della Virginia che aveva comandato l'esercito indipendentista (Continental Army). Si formarono ben presto due schieramenti politici, uno detto federalista, capeggiato da John Adams e soprattutto Alexander Hamilton, e uno detto repubblicano-democratico, capeggiato da Thomas Jefferson e James Madison. Hamilton prefigurava per gli Stati Uniti un governo centrale forte, con una banca centrale, esercito e marina potenti, un avvenire mercantile e manifatturiero. Jefferson immaginava un governo nazionale debole, larghe autonomie locali, non una banca centrale ma piccole banche rurali per il credito agli agricoltori, poche tasse, nessun esercito permanente e una marina solo mercantile. Dopo due Presidenti federalisti (Washington e Adams), nel novembre 1800 il democratico Jefferson venne eletto Presidente, inaugurando un lungo periodo di prevalenza dei repubblicani-democratici. Il cemento ideologico dello schieramento jeffersoniano era la fiducia nell’uomo comune e nelle sue capacità individuali di migliorarsi e di sostenersi. Era una visione democratica, progressista e individualista al tempo stesso.
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