- Versione
- Download 1
- Dimensioni file 171.25 KB
- Conteggio file 1
- Data di creazione 21/02/2025
- Ultimo aggiornamento 21/02/2025
DEMOGRAFIA ED ECONOMIA: CRESCITA E TRASFORMAZIONI NELL'EUROPA DEL XVIII SECOLO
Nei primi due secoli dell’età moderna - il Cinquecento e il Seicento - la popolazione europea, considerata nel suo complesso, era cresciuta moderatamente. Tuttavia, l’andamento della crescita era stato diverso nei vari paesi e, soprattutto, molto discontinuo, perché spesso si erano verificate guerre, carestie ed epidemie. Dalla fine del Seicento l’incremento della popolazione si consolidò, non subì più interruzioni rilevanti e prese ad accelerare. Già nel 1750 gli europei erano diventati circa 145 milioni. I censimenti effettuati allora prendevano in considerazione i “fuochi”, cioè i nuclei familiari riuniti intorno ai focolari domestici, unità abitative ed economiche. I singoli individui, invece, erano iscritti nei registri parrocchiali in occasione del battesimo. Tali registri non erano diffusi ovunque, né si sono sempre conservati. A questo cambiamento concorsero vari fattori. Per prima cosa, nell’Europa del XVIII secolo diminuì la mortalità catastrofica, ovvero quella dovuta a guerre, carestie o epidemie, perché questi eventi si verificarono meno spesso e su scala più contenuta. Calò anche la mortalità generale, grazie a una maggiore disponibilità di cibo - legata alle trasformazioni dell’agricoltura - e ai progressi della medicina. Ciò favorì un graduale allungamento della vita media, anche se questa continuò, per tutto il Settecento, a essere piuttosto breve.
L’incremento demografico si verificò in parallelo alle trasformazioni che modernizzarono e resero più produttiva l’agricoltura. Già nella seconda parte del Seicento si era riscontrato, soprattutto nei paesi dell’Europa occidentale e mediterranea, un aumento delle superfici coltivate. Nel secolo successivo si diffusero inoltre in buona parte del continente nuove colture originarie delle Americhe. Il mais, ad esempio, che aveva una resa per ettaro molto alta e maturava in un tempo più breve rispetto ai cereali tradizionali, si affiancò al frumento e alla segale in Spagna, nella Francia del Sud e nell’Italia settentrionale e divenne uno dei cardini dell’alimentazione contadina. La patata, già nota in Gran Bretagna e in Spagna, iniziò a essere coltivata anche in Irlanda, Francia, Germania, Austria e successivamente nel resto d’Europa. La domanda crescente di beni alimentari fece sorgere la necessità di sfruttare i campi in maniera intensiva: per farlo era necessario adottare metodi di coltivazione più razionali. In Inghilterra, ad esempio, fu sperimentata prima che altrove la rotazione quadriennale, o Norfolk system, al posto di quella triennale usata fin dal Medioevo. Tale sistema prevedeva la divisione dei campi in più aree e l’avvicendamento, anno dopo anno, di diverse colture alimentari, ad esempio frumento, orzo, rape, alternate alle leguminose da prato, ad esempio trifoglio o erba medica. Queste piante - che ospitano sulle proprie radici batteri in grado di assorbire l’azoto atmosferico - arricchivano i terreni, rendendoli più fertili e dunque più produttivi e fornendo il foraggio necessario a sfamare il bestiame nei mesi invernali. Grazie alla rotazione pluriennale la produzione inglese di lana, latte e carne prosperò molto, aumentò anche la disponibilità di letame, il principale tipo di concime allora conosciuto. Sempre nel Settecento, anche in questo caso in Inghilterra, furono introdotti nuovi strumenti di lavoro, che facilitarono e velocizzarono i lavori agricoli, contribuendo ad aumentare notevolmente i raccolti.
In diverse regioni dell’Europa occidentale - l’Inghilterra, le Fiandre, alcune zone della Germania e della Francia settentrionale e alcune aree del Nord Italia - si diffuse, tra il Seicento e il Settecento, il modello della lavorazione a domicilio, in particolare nel settore tessile. Fino a quel momento le produzioni manifatturiere si erano raggruppate nelle botteghe cittadine, ma le regole delle corporazioni artigiane sull’organizzazione del lavoro e sull’assunzione della manodopera attraverso un lungo periodo di apprendistato si erano fatte, con il tempo, sempre più rigide, impedendo ogni possibilità di innovazione. Questo tipo di struttura, infatti, rispondeva bene alla produzione di una ristretta quantità di beni di lusso ma non di beni di qualità media a prezzo moderato. Molti mercanti-imprenditori pensarono, quindi, di delocalizzare la produzione, affidando alcune fasi del ciclo produttivo dei tessuti - ad esempio, la filatura e la tessitura di lana, lino, seta - a famiglie contadine, che lavoravano a casa propria quando non erano impegnate nei campi. In questo modo, il mercante-imprenditore da una parte risparmiava sui costi, perché nelle campagne i lavoranti si accontentavano di un compenso più basso, mentre dall’altra poteva moltiplicare la produzione aumentando il numero dei suoi aiutanti. D’altro canto, anche per i contadini la lavorazione a domicilio era conveniente, perché garantiva una fonte aggiuntiva di entrate.
Dagli ultimi decenni del Seicento e per tutto il secolo successivo, i traffici internazionali aumentarono notevolmente. I paesi europei più abili nei commerci o che detenevano un maggior numero di colonie - come l’Olanda, la Francia e soprattutto l’Inghilterra - rappresentavano il centro di questo sistema, mentre la periferia era costituita dai paesi che fornivano agli europei materie prime e merci. Ai mercati europei arrivavano dall’Asia prodotti come il tè e le spezie orientali, mentre dalle Americhe il cacao, il caffè e il tabacco. Dai paesi asiatici, soprattutto, provenivano tessuti di pregio, che però iniziarono a rappresentare una quota sempre minore delle esportazioni man mano che l’industria tessile europea si rafforzava. Quando questo avvenne, gli europei presero a importare, non tanto stoffe finite, quanto cotone grezzo, che una volta lavorato poteva essere venduto anche nelle colonie. Fra le “merci” al centro degli scambi intercontinentali vi erano anche milioni di esseri umani, comprati come schiavi sulla costa occidentale dell’Africa e rivenduti ai proprietari delle grandi piantagioni americane. La tratta atlantica degli schiavi era stata inaugurata nel Cinquecento, ma dopo il 1650 si intensificò e divenne una delle tre fasi di quello che fu definito un “commercio triangolare”. Le navi usate dai negrieri lasciavano l’Europa con merci di scarso valore - stoffe, vetri, fucili, semplici manufatti - e, sulle coste africane, questi prodotti venivano scambiati con i prigionieri neri catturati nell’entroterra da mercanti africani o arabi. Le imbarcazioni ripartivano poi verso il continente americano cariche di uomini, donne e bambini. Costoro, se sopravvivevano alla traversata, una volta sbarcati venivano venduti in mercati, marchiati con un ferro rovente che portava le iniziali del loro nuovo padrone e trasferiti nelle piantagioni. Agli armatori, invece, non restava che far rotta verso l’Europa, con le stive cariche di quei prodotti tropicali - caffè, tabacco, zucchero, cacao - che nel Vecchio Continente erano molto richiesti e potevano essere venduti con notevole profitto.
Attached Files
File | |
---|---|
La crescita del XVIII secolo.pdf |