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  • Data di creazione 03/05/2025
  • Ultimo aggiornamento 03/05/2025

IL PARADISO DI DANTE - SPIEGAZIONE E SCHEMA - CANTO I

Una topografia particolare, costituita dai cieli così come li rappresenta la cosmologia tolemaica; qui Dante viaggia, di cielo in cielo, pur se l’unico segnale di spostamento è costituito dal progressivo intensificarsi dell’abbagliante luce che emana dagli occhi di Beatrice; Dante non sente fisicamente il volo, ma ne percepisce le conseguenze.

Tutto ciò che appare a Dante di cielo in cielo non esiste veramente lì, in quella forma: le anime dei beati scendono dal loro luogo, l’Empireo, il vero Paradiso, per consentire al divino pellegrino di imparare via via i misteri della fede cristiana e di penetrare come egli può, per gradi successivi, nel mistero di Dio. Questo muta radicalmente anche le modalità di comunicazione fra Dante e le anime che egli incontra.

All’Inferno e in Purgatorio Dante era un visitatore, a volte un intruso male accolto, e talvolta, anche in Purgatorio, liquidato con impazienza: egli entrava in situazioni preesistenti, e che avrebbero continuato a svolgersi nello stesso modo dopo il suo passaggio. Di conseguenza, il suo dialogo con le anime aveva tutti i caratteri dell’accidentalità e dell’improvvisazione; doveva ritagliarsi il suo spazio nella vita di interlocutori ben altrimenti affaccendati.

Qui invece, in Paradiso, i santi scendono dall’Empireo apposta per parlare con Dante: il dialogato paradisiaco diventa una specie di copione celeste dettato dalla carità. Per di più, un copione per metà inutile. Le anime, infatti, sanno sempre in anticipo ciò che Dante pensa o vorrebbe dire, perché tutto leggono già riflesso nella mente di Dio.

La comunicazione, in Paradiso, perde dunque la sua urgenza informativa, e diviene più “espressiva”; un atto non funzionale, ma di espansione verbale e fisica dell’affettività.

Il fatto è che di per sé l’esperienza del Paradiso è inesprimibile. Come si potrebbe infatti descrivere l’esperienza della visione di Dio, faccia a faccia, oltre il tempo e lo spazio? Come si potrebbe raccontare, entro le costrizioni necessarie del linguaggio umano, il contatto con l’eternità?

Pur avvicinandosi alla visione finale di Dio, la quale, beninteso, non viene descritta mai, la Commedia si chiude proprio nel momento in cui Dante, folgorato un’ultima volta dalla grazia divina, penetra nell’indicibile mistero della divinità. Così, tutta la terza cantica si presenta anche come una continua tensione del desiderio verso l’oggetto ultimo dell’amore: ma questo oggetto rimarrà impossibile a descriversi.

L’esperienza del Paradiso è dunque, per Dante, un’esperienza di approssimazioni successive; di apparizioni, luci, musiche, che non sono il vero Paradiso, ma una sorta di sua rappresentazione teatrale, virtuale; già così mirabile, tuttavia, da rendere spesso il Poeta pellegrino incapace di rappresentare la bellezza contemplata e la beatitudine sentita.

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