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- Data di creazione 14/02/2025
- Ultimo aggiornamento 14/02/2025
L'ENTRATA IN GUERRA DELL'ITALIA 1915
Il governo italiano, guidato dall'astuzia diplomatica del suo ministro degli Esteri Sonnino, avviò segretamente un dialogo con i Paesi dell'Intesa. Il loro desiderio era aprire un nuovo fronte nel sud dell'Europa. Il 16 febbraio 1915 fu inviato a Londra un promemoria con le condizioni per la discesa in campo dell'Italia a fianco dei Paesi dell'Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia): dopo ulteriori discussioni il 14 aprile venne raggiunto l'accordo tra l'Italia ed i Paesi dell'Intesa che firmarono dodici giorni dopo il Patto di Londra Nello specifico questo era composto da tre documenti: le richieste italiane, l'impegno dei quattro paesi a non raggiungere una pace separata e la promessa nel mantenere la segretezza di questo accordo. L'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese dalla firma a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia contro Austria-Ungheria, Germania e Impero Ottomano. In cambio l'Italia avrebbe ottenuto il Sud Tirolo, il Trentino, Gorizia, Gradisca, il territorio di Trieste, l'intera penisola istriana fino al golfo del Quarnaro con le isole di Cherso e Lussino, le isole della Dalmazia e le città di Zara, Sebenico e Trau, la città di Valona e l'isola di Saseno, la sovranità sul Dodecanneso, il riconoscimento di zone d'influenza nell'Asia Minore e la rettifica di alcuni confini nell'Africa italiana. Con questa decisione il Regno scelse di entrare attivamente nella storia mondiale per ritagliarsi quello "status" di grande potenza nell'area adriatica e balcanica che tanto desiderava. Nei mesi precedenti si erano susseguiti in tutta la penisola dibattiti e manifestazioni pubbliche a favore della guerra che si intensificarono all'inizio di maggio dopo un discorso di Gabriele D'Annunzio a Genova. Seguirono diversi cortei in tutte le maggiori città. In quei giorni di maggio, soprannominato dagli stessi interventisti come "radioso", nulla sembrava ormai ostacolare l'entrata in guerra. Il 9 maggio l'ex Primo ministro Giovanni Giolitti, convinto neutralista, fece ritorno a Roma dopo diversi mesi. I deputati contrari alla guerra, che fino a quel momento avevano passivamente subito le azioni degli interventisti, scelsero di agire vedendo nel vecchio statista un punto di riferimento sicuro. Questo gesto fece capire al Capo del Governo Salandra che la maggioranza parlamentare non lo sosteneva e presentò a Vittorio Emanuele III le proprie dimissioni. Il Re, anche lui interventista, le accolse a malincuore e chiese a Giolitti di formare un nuovo governo. Giolitti avrebbe potuto impedire l'entrata in guerra dell'Italia ma rifiutò il nuovo incarico. I motivi furono diversi: dalla sua età avanzata (73 anni) al fatto che rinnegando il Patto di Londra avrebbe tolto al Paese anche l'ultima possibilità di trarre dei benefici territoriali dalla guerra. L'Italia sarebbe rimasta fuori da tutte le alleanze, isolata, senza alcun potere in Europa e non avrebbe mai ricevuto nemmeno le terre irridente. A Roma e Milano gli interventisti organizzarono grandi manifestazioni che portarono Vittorio Emanuele III a ridare l'incarico ad Antonio Salandra. L'Italia si preparò all'entrata in guerra contro l'Austria-Ungheria. Il Capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna accettò gli ordini ma comunicò che l'esercito non sarebbe stato pronto prima di un mese. Ciononostante il morale era alto: il generale era convinto che nel giro di un mese il suo esercito avrebbe raggiunto Trieste; Salandra, quando venne interrogato nell'estate del 1915 sulle attrezzature invernali dell'Esercito, rispose: "Credi che la guerra possa durare oltre l'inverno?". Entrambi non sembravano aver preso in considerazione le diverse comunicazioni che già circolavano sulla nuova guerra. Diverse relazioni riportavano su quali fossero le condizioni di questo conflitto e su come, dopo poche settimane di combattimenti, si fosse trasformato in una guerra di posizione logorante, immobile, con scavi di trincee e fronti difficili da spostare.
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